Giovanni 13,1-15
Carissimi fratelli e sorelle,
questa sera entriamo nel cuore del triduo pasquale, e lo facciamo radunati attorno a questo altare, come quella sera di duemila anni fa, nel Cenacolo. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci conduce in quel luogo intimo e solenne dove Gesù, sapendo che «era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre», compie gesti che non possiamo dimenticare.
«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».
Queste parole sono la chiave di tutto. In esse troviamo racchiuso il senso della Pasqua, dell’Eucaristia, del sacerdozio, della Croce. Gesù ci ama non con un amore generico o temporaneo, ma fino in fondo, fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultima briciola di pane spezzato, fino all’ultimo gesto di servizio umile: lavare i piedi ai suoi discepoli.
Il gesto della lavanda dei piedi, che Giovanni pone al centro del racconto della Cena, non è in contraddizione con l’istituzione dell’Eucaristia: ne è il volto visibile. Perché ciò che Gesù compie quella sera – prendere il pane e il calice, benedirli, spezzarli, darli – è il dono totale di sé, anticipazione della Croce e memoriale di un amore eterno.
Nel pane e nel vino consacrati, Cristo si fa cibo per la nostra fame più profonda. E nel gesto umile del servo che lava i piedi ai suoi, ci mostra che l’amore vero si fa piccolo, si china, si sporca le mani, non per obbligo ma per scelta.
L’Eucaristia e la lavanda dei piedi sono due facce dello stesso mistero: Dio si fa servo, Dio si dona, Dio si consuma per amore.
Nel gesto del Maestro che si cinge il grembiule e si inginocchia davanti ai suoi discepoli – compreso Giuda, che già aveva nel cuore il tradimento – vediamo un amore che non fa distinzioni, che non si ritira davanti al rifiuto, che non si scandalizza della fragilità umana. Questo amore diventa il fondamento di una nuova comunità: la Chiesa, chiamata a celebrare l’Eucaristia e a vivere nell’amore reciproco.
Gesù ci dice con chiarezza: «Vi ho dato l’esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
Celebrare il Giovedì Santo significa allora lasciarci lavare i piedi da Lui – lasciarci amare – e poi imparare a lavarli gli uni agli altri: nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nei luoghi di lavoro, ovunque la vita ci chiama ad essere segni di amore concreto.
In questa notte, in cui il Signore ci consegna il suo Corpo e il suo Sangue, e ci affida il comandamento nuovo dell’amore, vogliamo stare con Lui. Con la stessa disponibilità di Pietro, che prima rifiuta e poi si abbandona. Con il desiderio di rimanere, anche quando la notte si fa oscura, anche quando la carne è debole.
«Fate questo in memoria di me» – non è solo un invito liturgico, ma un programma di vita. Celebrare l’Eucaristia, ogni volta, significa entrare in questo amore che si dona, farsi corpo con Cristo per diventare dono per il mondo.
Fratelli e sorelle, lasciamoci amare da Gesù fino alla fine. E impariamo, da questo amore, a vivere come Lui: spezzati, sì, ma per amore. Amen.