Anno Giubilare
Gv 20,1-9 – “Egli doveva risuscitare dai morti”
Fratelli e sorelle carissimi,
questa mattina di Pasqua ci raccoglie attorno a un sepolcro… vuoto. È un’immagine che non smette di sorprenderci: Dio si manifesta attraverso un’assenza. Le donne e i discepoli non trovano un corpo, ma dei teli posati, un sudario piegato… eppure è proprio lì che inizia la fede pasquale.
Maria di Màgdala, all’alba, quando era ancora buio – dice Giovanni – si reca al sepolcro. Quel buio non è solo esteriore: è il buio del cuore, della perdita, dell’amore che sembra finito. Quante volte anche noi viviamo quel tipo di buio: quando tutto sembra crollare, quando non capiamo il senso di ciò che viviamo, quando Dio sembra distante. Eppure… proprio in quel buio nasce qualcosa di nuovo. Non è più la morte a dominare. È iniziato qualcosa che nessuno poteva immaginare: la Risurrezione.
Maria corre da Pietro e Giovanni. Corrono anche loro. In questo Vangelo si corre molto. Si corre, ma non per fuggire: si corre per cercare, per capire, per vedere. E alla fine, quel discepolo che Gesù amava “vide e credette”.
Ma cosa ha visto? Un sepolcro vuoto. Non Gesù. Eppure ha creduto.
La fede pasquale comincia così: non da prove certe, ma da segni delicati. Da una tomba vuota, da un sudario piegato, da un cuore che ricorda le parole di Gesù. È una fede che si affaccia con timore, ma che apre la porta alla speranza.
E in questo Anno Giubilare, siamo chiamati proprio a questo:
a diventare pellegrini della speranza.
Un pellegrino è uno che cammina con una meta, anche se non ha tutte le risposte. Uno che sa che la strada è importante quanto l’arrivo. E il pellegrino della speranza non cammina da solo: cammina con il Risorto, anche quando non lo riconosce subito. Cammina in un mondo che ha bisogno urgente di segni di vita.
Pensiamo a quanto oggi la speranza è fragile. Basta guardare le guerre che continuano a insanguinare la Terra, le famiglie spezzate, i giovani disorientati, la solitudine di tanti anziani. Viviamo in un tempo che spesso corre, come quei discepoli, ma senza sapere dove.
E allora il Vangelo di oggi ci offre una bussola: non temere il vuoto, se è lì che Dio si fa presente. Non fuggire dal buio, perché è lì che può nascere l’alba.
Il sepolcro è vuoto, sì. Ma è pieno di possibilità nuove. E noi siamo chiamati a portare nel mondo questa novità. A essere – nel concreto – segni pasquali: persone che non si lasciano sconfiggere dal pessimismo, che credono ancora che il perdono sia più forte del rancore, che la pace sia possibile, che la vita meriti di essere vissuta anche quando è ferita.
Oggi il Signore Risorto ci dice: “Cammina con Me. Credi. Guarda il segno. Abbi speranza.”
Non è una speranza ingenua o illusa, ma è quella che nasce da chi ha visto la croce… e ora trova i teli piegati. Da chi ha pianto… e ora comincia a intuire la gioia.
Fratelli e sorelle, la Pasqua non è solo una festa da celebrare. È una vita da vivere.
Oggi il Risorto ci affida una missione: essere pellegrini della speranza nel mondo che ci è dato, con le sue fatiche e le sue ferite.
Non ci chiede di capire tutto, ma di fidarci.
Non ci chiede di vedere Lui, ma di credere nei segni.
E con quei segni nel cuore, di rimetterci in cammino.
Cristo è risorto.
È davvero risorto.
E noi… non siamo più soli.