Nel 60° compleanno e 34° anniversario di mio sacerdozio
(Lc 9,11b-17 Tutti mangiarono a sazietà)
Carissimi fratelli e sorelle,
oggi il Signore ci raduna per una festa straordinaria: la solennità del Corpus Domini, il mistero della Presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, e, per me, anche un momento personale di grazia: sessant’anni di vita e trentaquattro anni di sacerdozio. E voglio dire fin da subito, con un cuore colmo di commozione e gratitudine: che dono immenso è avere ricevuto il dono della vita!
Ringrazio Dio per l’amore dei miei genitori, per la loro fede, per il loro sì alla vita, che è stato il primo “altare” su cui è cominciata la mia storia. La vita è il primo sacramento che riceviamo, quel primo battesimo della carne, che poi viene trasfigurato nel giorno del Battesimo, quando siamo immersi nella vita dell’Eterno. Da lì comincia tutto, anche il mio cammino di vocazione.
E oggi, in questo brano del Vangelo secondo Luca, vediamo Gesù che si dona. Lo fa in due modi: annuncia il Regno e guarisce. Parola e cura. Poi, quando tutto sembra finito — è sera, la folla è stanca — Lui compie il gesto che anticipa l’Eucaristia, la sua totale offerta.
«Prendete, mangiate…»
Gesù non si limita a predicare. Non si limita a guarire. Dà Sé stesso, si spezza per tutti. È questo il cuore del Corpus Domini: un Dio che si spezza perché tutti siano saziati.
I discepoli, come spesso accade, ragionano secondo logica umana: “Non abbiamo abbastanza. Cinque pani e due pesci. Che sono per tanta gente?”. Ma Gesù cambia la logica: non chiede che abbiamo tutto, ma che offriamo tutto quello che abbiamo. Lui farà il resto. L’abbondanza nasce quando si dona con fiducia.
E questa è anche la logica del sacerdozio. Guardando indietro ai miei 34 anni di ministero, non posso dire di essere stato un uomo dalle risorse straordinarie, dai grandi mezzi. Ma come quei cinque pani e due pesci, ho cercato di offrire quello che avevo, ogni giorno, tra le mani e nel cuore. Non per i miei meriti — e questo lo sento profondamente oggi — ma per pura grazia, puro dono.
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16)
Il sacerdozio è un mistero di gratuità. Chiamato e scelto da Dio tra la gente, per servire la gente. E quanto più lo servo, tanto più comprendo che devo essere io stesso “pane spezzato” per il suo popolo. Questo è ciò che desidero: che il mio essere prete sia Corpo e Sangue di Cristo per la Chiesa, per voi, popolo santo di Dio.
Ma oggi, in questa celebrazione, sento anche di chiedere al Signore un’altra grazia: che io sia sale che guarisce le ferite causate dalle sfide della vita, e luce che rischiara chi vive nel buio della tristezza, della solitudine, del disorientamento del mondo. Il sale che consola, non brucia. La luce che illumina, non abbaglia. Questo vorrei essere, nel mio piccolo, come Gesù: vicinanza che riscalda, presenza che cura, parola che solleva.
Il Vangelo si conclude con una bellissima immagine: tutti mangiarono a sazietà, e avanzarono dodici ceste. L’amore di Dio non è mai misurato al millimetro. È abbondante, sovrabbondante, va oltre il bisogno. E ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, noi entriamo in questo flusso d’amore che non finisce, che riempie, che avanza.
Così, in questo giorno speciale, non celebro solo un traguardo personale. Celebro la fedeltà di Dio, che ha accompagnato il mio cammino, anche nei momenti di fatica e aridità. Celebro l’Eucaristia che mi ha nutrito e formato, giorno dopo giorno. Celebro la mia comunità, voi, senza la quale il mio sacerdozio non avrebbe volto, né voce, né senso.
E chiedo al Signore, con umiltà e forza:
dammi ancora la grazia del sacerdozio.
Fammi ancora Corpo e Sangue per i tuoi figli.
Rendimi pane che si spezza,
sale che guarisce,
luce che consola,
parola che accompagna.
E mentre oggi alzo gli occhi al cielo, come fece Gesù quel giorno nel deserto, anch’io benedico e ringrazio: per la mia vita, per la mia vocazione, per ciascuno di voi. Amen.