Gv 20,19-31 – “Otto giorni dopo venne Gesù”
Carissimi fratelli e sorelle,
oggi celebriamo la Domenica della Divina Misericordia, una festa che ci è particolarmente cara, tanto voluta da San Giovanni Paolo II, che la istituì nel giorno della canonizzazione di Santa Faustina Kowalska, la mistica polacca che ricevette da Gesù il messaggio della sua misericordia infinita. In questa stessa domenica, il 2 aprile 2005, Giovanni Paolo II concluse il suo cammino terreno, quasi a suggellare con la sua vita la centralità della misericordia nel cuore della Chiesa.
Il Vangelo di oggi ci introduce in un’atmosfera carica di timore e incertezza: i discepoli sono rinchiusi nel cenacolo, con le porte sbarrate, spaventati e confusi dopo la morte del Maestro. E proprio lì, nel cuore della loro paura, Gesù entra a porte chiuse, si mette in mezzo a loro e dice: “Pace a voi!”
Non è solo un saluto. È un dono reale, concreto: la pace che viene dalla sua risurrezione, la pace che nasce dal perdono, dal superamento della morte, la pace che consola e ricostruisce. E insieme alla pace, Gesù mostra le sue ferite. Quelle ferite non scompaiono dopo la resurrezione: sono il segno dell’amore che ha sofferto, ha perdonato, ha salvato. Sono ferite gloriose, che parlano della misericordia di Dio.
Subito dopo, Gesù compie un gesto straordinario: soffia sui discepoli e dona loro lo Spirito Santo. È come una nuova creazione. Quel soffio è vita nuova, è forza per la missione, è potere di perdonare i peccati. Sì, perché la prima missione della Chiesa risorta è quella di essere strumento di misericordia. “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”. Non è forse questo il cuore del Vangelo? Un Dio che perdona, che non si stanca mai di ricominciare con noi?
Ed ecco che entra in scena Tommaso, l’apostolo che ha bisogno di vedere per credere. Non era presente alla prima apparizione, e fa fatica a fidarsi delle parole degli altri. Ma Gesù torna, per lui, e lo invita a toccare le ferite. La misericordia di Gesù va incontro anche alla nostra fatica di credere. Non ci condanna, ci accompagna.
E Tommaso fa una delle professioni di fede più belle di tutto il Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”. È il culmine della sua incredulità che si trasforma in adorazione. E Gesù risponde con una beatitudine che ci riguarda da vicino: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Siamo noi, fratelli e sorelle, quei beati. Noi che, pur senza aver visto con gli occhi, crediamo con il cuore. E se oggi possiamo farlo, è perché Gesù ci ha lasciato la sua misericordia come via di salvezza.
San Giovanni Paolo II diceva che “la misericordia è l’amore che si piega sull’uomo ferito”. E tutta la sua vita è stata un annuncio instancabile di questo amore: nelle sue parole, nei suoi viaggi, nella sua preghiera, nel suo perdono. Ha voluto che questa domenica fosse dedicata alla Divina Misericordia proprio perché la Chiesa non può annunciare altro se non un Dio che ama, perdona e rialza.
Carissimi, lasciamoci raggiungere anche noi da Gesù, nel nostro cenacolo di paure, di dubbi, di fatiche. Lasciamoci toccare dalle sue ferite, ferite d’amore, e accogliamo il suo dono di pace e di vita nuova. E soprattutto, facciamoci strumenti della sua misericordia: nella famiglia, nel lavoro, nella comunità, in ogni relazione. Perché il mondo ha sete di perdono, di tenerezza, di speranza.
Concludo con le parole che Gesù ha detto a Santa Faustina: “L’umanità non troverà pace finché non si rivolgerà con fiducia alla mia misericordia.” Oggi è il giorno per fidarci ancora una volta.
Amen.